venerdì 4 giugno 2010

FOLLIA, AMORE E CREATIVITÀ

Questa pagina raccoglie una serie di articoli pubblicati dalla rivista “libera Luiss” e delle riflessioni pubblicate sul sito epistemelaboratorio.blogspot.com, riguardo la ragione, la follia, la creatività e l’amore, ho aggiunto ultimamente anche riflessioni sul tradimento e sugli amori passati, riflessioni inedite e neonate. Buona lettura.

Domenico Fauceglia

CREATIVITÀ E FOLLIA

LA RAGIONE E FOLLIA

La ragione è un’isola piccolissima nello sfondo dell’irrazionalità

Platone nella Repubblica delinea la dottrina dell’anima fondata in tre parti (o facoltà) necessaria a spiegare come mai l’anima possa provare passioni contraddittorie: vi è una parte razionale (logistikòn) destinata al comando e la cui virtù è la sapienza, una parte animosa (thymoeidès) incline ad aiutare la parte razionale e la cui virtù è il coraggio e infine una parte appetitivi (epithymetikòn) che è la parte ribelle e insofferente ai dettami della ragione. Prima di accogliere l’epithymetikòn , Platone lo rifiutava cosi come respingeva dal suo Stato ideale musici e poeti, manifestazione di una natura ribelle.

Questi dovevano essere espulsi dalla città, perché contrari alle regole della logica, poi, però, Platone si ravvede, dopo un po’ afferma che la poesia e la musica sono più belle della ragione e che hanno una funzione essenziale per la salute fisica e morale dei guardiani (i guerrieri) e che lo stato stesso deve concentrare su di esse la massima attenzione. Ciò che è il contrasto tra logistikòn (razionalità) ed epithymetikòn (creatività) è stato al centro delle più importanti riflessioni dell’uomo.

Ma cosa è, però, la creatività? La creatività sembra un termine un po’ vuoto soprattutto se si pensa che in natura nulla si crea, nulla si distrugge e, quindi, tutto si trasforma.

Anche se “creatività” non abbia un contenuto molto preciso, è una parola, però, molto diffusa. Indica, in genere, il pensare in modo diverso e cioè risolvere in modo originale i problemi, esprimersi e atteggiarsi in modo nuovo e fuori dal comune. La creatività richiama una forma di intelligenza, che i cognitivisti chiamano divergente, ossia opposta da convergente.

L’intelligenza convergente risolve i problemi cercando la soluzione all’interno del problema, quella divergente, che è l’opposto, al di fuori del problema. A scuola si favorisce, ad esempio, l’intelligenza convergente, per questo i creativi di solito non vanno molto bene a scuola, hanno, insomma, una intelligenza non conforme. Per Freud la creatività è connessa alla perversione, l’uomo creativo misconosce le differenze, come ,ad esempio, i sadici e i masochisti che non conoscono la differenza tra piacere e sofferenza.

La perversione è alla base di un pensiero che “non va per il verso giusto”, e per verso intendo direzione. Se questa direzione vien lasciata alle pulsioni emerge la creatività. Sia cognitivismo che psicoanalisi parlano perciò di questo stato che è improntato dal misconoscimento delle differenze istituite dalla ragione.

Quando nasciamo, e finchè non arriviamo all’età della ragione, ci comportiamo in modo indifferenziato, un bambino infatti può usare un succhiotto e per succhiare e per usarlo come arma per minacciare il proprio fratello.

La ragione non è la verità, è solo un codice che fissa i significati delle cose, o meglio un codice condiviso che stabilisce cosa è ciascuna cosa.

Anche nella poesia, come nel mondo infantile, il poeta fa oscillare il significato delle cose, Leopardi parlava con la luna come se fosse una donna chiedendole cosa facesse in cielo, la luna nella poesia di Leopardi non è un satellite ma una donna con la quale confidarsi. Dal punto di vista della razionalità che senso avrebbe chiedere alla luna cosa facesse in cielo? Anzi sembrerei un matto se lo facessi.

Dal punto di vista della poesia il senso c’è ed è anche forte. La poesia associa i significati, e per questo è creatività, i significati contaminati sono tipici della follia, per i folli, infatti, una cosa non è sempre quella e allo stesso tempo non è nessun altra, per questo i loro comportamenti diventano titubanti. La creatività ha le sue radici nella follia, ossia nello scenario indifferenziato, in un mondo dove i significati sono contaminati ed i comportamenti diventano incerti e poco decifrabili.

Noi esseri umani abbiamo paura dell’indecifrabile, noi uomini attraverso i miti e poi i riti e poi la logica abbiamo cercato di chiarire l’indecifrabile che, però, a sua volta ci provoca ansia. Per questo Platone diceva che i poeti dovevano essere espulsi dalla città, perché impediscono la logica, la razionalità e, quindi, la certezza dei significati delle cose.

Poi però il filosofo si corregge ed afferma che la poesia è molto più bella della ragione, e che è qualcosa di divino.

Pochi giorni fa ho avuto il piacere di assistere ad una lectio magistralis del professor Umberto Galimberti che ha individuato due ordini di follia , un ordine “secondario”, che vede la follia come trasgressione delle regole della ragione, ed un ordine “primario”, una follia come status originario, che ha spinto l’uomo a dare vita alla ragione, per dominare questa follia. Ed inventando la ragione è nata la follia secondaria per contrastare la ragione.

Kant diceva la ragione è un’isola piccolissima nello sfondo dell’irrazionalità, così per essere artisti e poeti bisogna scendere in questo scenario folle ed indifferenziato, ma per farlo occorre una disciplina, perché è necessario poi riemergere altrimenti se ne resterebbe catturati. È proprio questa disciplina, necessaria per riemergere, che distingue la creatività dalla spontaneità, la quale non è disciplinata. Socrate aveva un “demone” dentro di sé, gli permetteva di lasciare il luogo della ragione e dell’io per andare altrove, e da lì a sua volta riemergere.

Era un demone che creava entusiasmo e tutti i poeti ed artisti sono entusiasti, non parlano di sé ma di un dio che parla dentro di loro. Ecco perché creatività è connessa ad entusiasmo, ossia ciò che i greci intendevano per “dio che parla dentro di te”. Per gli antichi gli uomini fondano la ragione per salvarsi dall’indifferenziato, che era antecedente ed era luogo degli dei.

La ragione era necessaria per convivere, ma non per essere artisti. Folle è lo scenario antecedente alla ragione che ci difende da ciò che eravamo prima, ossia folli.

In effetti, al nostro interno siamo irrazionali, ad esempio quando dialoghiamo con noi stessi, mentre quando siamo insieme agli altri questa parte non la rendiamo pubblica, e ci produciamo razionali.

Abbiamo due dimensioni, quella singolare (io) irrazionale; quella plurale (noi) razionali.

Esiste anche la dimensione duale (io e te) di nuovo irrazionale, l’amore è mettere insieme le nostre due follie, e capirsi, in amore non ci si intende in modo razionale, l’amore è potente e folle.

Un esempio, ogni mattina ci svegliamo venendo dai sogni, il luogo dell’indifferenziato. In un sogno posso essere contemporaneamente grande e piccolo, al corso di Salerno e a New York, i sogni rompono tutte le regole della ragione, pertanto sono follia.

E dopo un sogno, una volta svegli, ci vuole tempo per recuperare la razionalità, ecco perché al mattino compiamo molti rituali, per aiutarci nel passaggio.

Freud dirige la sua teoria psicoanalitica indirizzandola verso il complesso di Edipo, riferendosi alla tragedia di Sofocle. Uccidere il padre e sposare la madre. Per Freud questo accade verso i 4 e i 5 anni, alle soglie dell’età della ragione, intendendo che puoi avere uno sviluppo psichico uscendo dall’indifferenziato, apprendendo la differenza tra madre e moglie, tra padre e nemico.

Edipo infatti non distingue le differenze, confonde (misconosce le differenze) e quando viene a sapere la verità si acceca, dopo di che continua a non vedere le differenze (perché cieco) e resta nell’indifferenziato.

La follia non è una cosa in cui si cade, perché da lì veniamo, dopo diventiamo capaci di razionalità e ci restiamo attaccati, e quando non ce la facciamo più là ritorniamo. Anche i vecchi ritornano bambini, cioè folli. Non ha niente a che vedere con un raptus, è una follia sottostante, che è anche il fondo dellanostra creatività.

Anche nella cultura ebraica, Dio ordina ad Abramo di uccidere il figlio, perché gli dei non rispettano le regole, e la dimensione religiosa si raggiunge superando le regole della ragione, arrivando all’assurdo.

Lì incontri il Dio che vive nella follia, in quanto la ragione è un evento umano, il Dio che non è ragionevole, è imprevedibile, porta disordine, è distruttivo. Giobbe, ancora, cerca di fare ragionare Dio. È un uomo giusto, ma gliene capitano di ogni sorta, la moglie lo abbandona, gli amici lo giudicano male e lui certo non lo merita. Ne chiede il perché a Dio, come mai, cerca di farlo ragionare. La risposta è tremenda, dov’eri, dice Dio, quando io creavo la terra? È come dire, ma che domande mi fai, di cosa ti lamenti, della moglie, dei tuoi amici, con me? Dio non sta nella ragione, anche in questa cultura, lontanissima da quella greca, Dio sta nella follia.

La creatività significa scendere nella follia, e riemergere. Ma la riemersione non è garantita.

Carl Gustav Jung, che era psicotico e che per questo era stato un ottimo terapeuta, diceva ai suoi allievi: anche se vedete dov’è il male, non tutte le porte vanno aperte, perché il paziente potrebbe non riemergere più.

La ragione non crea niente, inventa solo regole.

Bisognerebbe avere una certa familiarità con la propria follia, perché da lì nasce il nuovo.

C’è un altro che parla dentro di noi, che andrebbe ascoltato. I poeti sono ascoltatori di un “esso” che parla dentro di loro. Non è solo la base della nostra creatività, ma anche della nostra specificità, in fin dei conti siamo tutti uguali nella razionalità, mentre nella irrazionalità siamo davvero diversi.

E poi l’amore, contaminazione tra due follie, e in queste potersi intendere.

*****

AMORE E FOLLIA

gli amanti che passano la vita insieme e (…) non sanno dire cosa vogliono l’uno dall’altro (Platone)

Nella solitudine siamo tutti irrazionali, lo sono io quando parlo e rido da solo, cose che non farei mai in un teatro o in un cinema e nemmeno in un’aula universitaria. In effetti, l’uomo è al suo interno irrazionale ed assume comportamenti fuori dal normale (dalla norma), comportamenti che non manifesterà mai in pubblico. L’uomo vive in due dimensioni diverse: la casa dell’ “io” che è irrazionale e la dimensione del “noi”che è razionale.

Esiste, però, anche una dimensione duale (io e te) che costituisce una coppia, la più piccola comunità esistente, questa non è solitudine ma nemmeno moltitudine, semplicemente è una microcomunità. Io e te formiamo il mondo dell’amore, un posto costruito dalla mia e dalla tua follia e solo in questo posto potremo intenderci.

“Quasi fuori dal cielo si àncora tra due montagne

la metà della luna

Girevole, errante notte la scavatrice d’occhi

Vediamo quante stelle sbriciolate nella pozzanghera”

(Casi fuera dal cielo, Pablo Neruda)

Qui Neruda parla dal suo folle mondo, quello dell’ amore, laddove le stelle sono tutte le cose o magari niente e la pozzanghera è, forse, la meraviglia di questo mondo.

È una dimensione percepibile solo da Neruda e dalla propria amata, uno spazio dove le cose possono significare mille cose e, nello stesso tempo, nulla, conoscibile solo dai due amanti. L’amore è fuori dal mondo razionale, è il mezzo che ci conduce in una dimensione che è al di fuori della nostra vita (razionale) per approdare in un non- luogo (a- topos) dove il tempo non ha secondi e lo spazio non ha metri.

Il fuori- luogo dove regnano passioni e desideri che rendono i significati instabili e che ci indeboliscono notevolmente, e in un luogo dove esistono solo pulsioni e desideri, l’ordine e la ragione non sono altro che neve al sole.

L’amore non si conosce, basta osservare “gli amanti che passano la vita insieme e che non sanno dire cosa vogliono l’uno dall’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente ad essere insieme. È allora evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio.”

Questo passo di Platone (ta aphrodisia, ossia le cose dell’amore) tratta di ciò che l’anima riesce o non riesce a dire, il “dire” si arresta laddove inizia l’oscurità dell’amore, ossia l’indicibile perchè non si conosce il significato dello stesso, sembra quasi essere un enigma.

È un mondo in cui la dicibilità (razionalità) si ferma davanti all’indicibilità (l’irrazionalità, propria degli amanti).

D’altronde, come direbbe Freud, l’amore parla ma non sapremo mai ciò che dice, non lo potremo mai sapere perchè è inconscio e noi uomini siamo capaci solamente di conoscere ciò che è l’elaborazione secondaria del nostro inconscio, ossia il resoconto che un uomo fa.

Platone, nel Simposio, sosteneva che la nostra natura non è la stessa di oggi, prima eravamo uniti, eravamo una creatura sola, e non generavamo per unione reciproca ma per unione con la terra.

Questa creatura era inoltre circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una sola testa, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare.

Questa natura doppia è però stata spezzata da Zeus, il quale fu indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei (d’altro canto, eliminarli del tutto avrebbe comportato la perdita dell’unica forma vivente da cui gli dei erano venerati). Da allora ciascuno di noi è un “contrassegno” d'uomo (è la metà), unire due metà è formare il simbolo (σύμβολον) che è la ragion d’essere di Eros, medico e amico degli uomini.

D’altronde, nell’antica Grecia era diffusa l’usanza di tagliare un anello, una moneta o qualsiasi altro oggetto e dare la metà ad una persona cara.

Queste metà di oggetti venivano custodite dall’una e dall’altra parte, conservate e consegnate di generazione in generazione, queste, poi, consentivano ai discendenti di riconoscersi.

Questo segno di riconoscimento è il simbolo, ed è proprio nel “simbolo” il significato della parola Eros (il Dio che unisce le metà) dove alla divisione (dia- ballein) inflitta da Zeus, segue la congiunzione (sum- ballein).

Secondo Platone, l’uomo prima di vivere ha avuto una non- vita, in cui era unito con un’altra persona (la non-vita era il periodo in cui il due era l’uno) la divisione avviene nel momento in cui si inizia a vivere in quella dimensione razionale dove esiste tempo e spazio, ossia il mondo sensibile.

Durante la vita l’uomo sente la forte necessità di tornare nel mondo primordiale, dove il due era l’uno, laddove lo spazio e il tempo non esistevano, quindi è spinto alla ricerca della propria metà.

Zeus dopo aver inflitto la pena (il castigo) si è anche preoccupato di curare l’ antica ferita dell’uomo, così invia Eros, amico degli uomini, il quale cerca di medicare questa piaga provocando il forte desiderio (che ci appartiene) di unirci l’uno con l’altro.

L’uomo, non ha vita facile dal momento in cui diventa metà, infatti a lui “non è concesso distogliere l’occhio dal proprio taglio” , questa è sofferenza, e a curare l’uomo è l’amico e medico Eros, colui che vive al confine tra l’ irrazionale (non- mondo divino) e il razionale (mondo umano), che spinge l’uomo ad amare perché è l’unico rimedio per distruggere la bruta forza disgregatrice dell’ uomo che è l’assoluta razionalità, che porta al completo appiattimento delle pulsioni e dei desideri e, quindi, di se stesso, conduce alla morte (amore, è un desiderio di non morire, a- mors, ossia è la non- morte).

L’uomo ha bisogno di vivere nel mondo dell’amore, ognuno di noi desidera l’altro, ciò è nell’indole di chi è a metà, la metà cerca “pienezza” e per raggiungerla deve unirsi con l’altra metà.

La pienezza è il mondo dell’amore creata dalle follie delle metà, il non- luogo che anche Freud vede fuori dalla razionalità, si entra in amore per desiderio di unirsi, la cura di Eros, e introdursi in quella follia comune alla coppia dove discorsi deliranti come: “non potrei vivere senza te. Vuoi la luna? La luce delle stelle?” hanno il loro significato.

L’uomo necessita di vivere nel mondo folle dell’amore e la necessità si percepisce dal desiderio di volere l’altro, che è fortissimo, quasi insostenibile, in sua assenza, ma il desiderio diminuisce in sua presenza.

Si ama perchè si desidera, se non c’è desiderio non c’è amore.

Platone dice: “Noi fummo interi così come la ricerca di questa unità ha per nome Eros”, per questo il nostro amico Eros inevitabilmente ci spinge verso quella pienezza che costituiva la nostra originaria natura e che ci apparteneva nel non- mondo divino.

*****

A volte però ci si lascia...

Ci si lascia per tradimento o perchè viene meno il desiderio, quindi l’amore.

Quando viene meno il desiderio di condividere la follia, avviene un fenomeno in cui si rompe la sintonia nella coppia e, quindi, ci si risveglia e scopriamo che la persona che credevamo di amare, nella realtà, è diversa da come ce la immaginavamo.

Il fenomeno del risveglio avviene quando rimaniamo troppo stabili nel mondo razionale e non riusciamo più a scendere nell’ a-topos (non-luogo) dell’amore.

Quando ci si risveglia si esce (ex-it) dal mondo folle dell’amore e abbandoniamo il rapporto col proprio partner.

Cosi la propria compagna diventa una ex che è la radice di exit, uscita.

È un’uscita da quel mondo folle che ci aveva accolto.

Ma prima di parlare di questa uscita preferirei esporre qualche riflessione sul tradimento.

*****

SUL TRADIMENTO

Il tradimento è un vizio comune ma è grave, è il peccato di Giuda, e avviene quando c’è fiducia.

È evidente che la sua gravità è tanto mggiore quanto è maggiore la fiducia.

A volte il vero amore crea un rapporto nella coppia di fiducia incondizionata, senza garanzie nè condizioni, questo avviene quando si crede pienamente ad una persona (esempio, quando si crede incondizionatamente ad una mamma) se in tal caso avviene il tradimento, questo si presenta come una vera e propria infamità.

Nel nostro mondo, però, è sempre meno plausibile che vi possa essere qualcuno capace di un totale ed incondizionato affidamento.

In un mondo, come quello di oggi, in cui l’amore come dono di sè tende sempre di più a venir meno, diventa anche più possibile tradire.

S’intende per tradimento d’amore, l’inganno che brucia ed offende.

Oggi poco si dà e poco si toglie, in un mondo dove tutto è scambiabile tramite denaro, in tal contesto il tradimento non riveste più il carattere della colpa, sembra che in questo mondo si tradisce solo in base alla competenza.

Chi tradisce approfitta dell’altrui aspettativa, oggi come oggi il tradimento non è più visto come aggiramento della fiducia, ha perso la sua gravità ed è visto come semplice presa in giro, così del tradimento oramai si ride ed è diventato semplice motivo di pettegolezzo.

Ma il tradimento non cessa di essere menzogna.

Accade spesso che si parli di storie dove sono frequenti gli adulteri o le relazioni senza impegno, ossia il tradirsi e l’amarsi sono la stessa cosa, così il relativo disimpegno attenua la portata del tradimento e consente separazioni senza dolore, amori senza fedeltà, fedeltà senza amore.

Di solito all’inizio di ogni relazione prevediamo che l’amore finisca, non si sa mai, d’altronde viviamo in un tempo in cui tutti i diritti devono essere garantiti, come giusto che sia.

Ma viviamo anche in un tempo di sfumate fedeltà e di correnti tradimenti.

Tradire non è più un delitto, ma in una società in cui il tradimento è divenuto motivo di semplice intrattenimento, come è possibile coltivare l’amore?

L’amore può essere coltivato solo se si è capaci di donare (di dare).

Non poche volte ho ascoltato chi, nonostante sia innamorato di una persona , abbia tradito giustificando questo comportamento dato dalla semplice debolezza umana.

Però, ho sempre pensato che si può non essere all’altezza di amare (dell’amore), ma non si può svendere l’amore perchè non se ne è all’altezza.

Ex

Ex è lasciare qualcosa dietro di noi, è guardare al futuro senza essere trattenuti nel passato.

Si esce (ex-it) dal mondo folle dell’amore e abbandoniamo il rapporto col proprio partner.

Cosi la propria compagna diventa una ex che è la radice di exit, uscita. È un’uscita da quel mondo folle che ci aveva accolto.

Si lascia quindi qualcosa dietro le spalle.

Questa condizione è propria degli amanti gli amanti, ma certo si è colti poi dalla nostalgia, una parola composta da due vocaboli greci, inventata da un laureando in medicina Johannes Hofer nel 1688 per designare quella sindrome malinconica caratterizzata dal dolore (algos) determinato dal desiderio di ritornare (nostos) laddove si era stati prima.

È una sindrome molto seria e a volte preoccupante, infatti in pochi casi questa ha portato alla morte.

Per difendersi dalla nostalgia si è soliti prendere due strade: la vendetta o il perdono.

Due strade errate che non salvano il nostalgico dalla sua atroce malinconia.

La vendetta è un piatto che si serve a freddo, dopo un po’ di tempo, ossia quando capita l’occasione giusta per distruggere chi riteniamo ci abbia fatto un torto.

Questo comporta che per giorni, mesi o addirittura anni la nostra psiche sia assediata da questo pensiero, attorcigliata intorno alle strategie più efficaci per vendicarsi, e in questo modo non si pensa più nè al presente e nè al futuro.

È un arresto dell’ordinario percorso della nostra psiche, del suo sviluppo e delle sue capacità di cogliere le occasioni della vita.

Questa è la vendetta.

Anche il perdono è, a mio parere, una via da non dover prendere perchè è un gesto che assolve la colpa, la estingue così da non consentire al colpevole una revisione di sè.

Un fatto, dice la teologia medievale, non può ritenersi un non fatto, neppure Dio può far questo (factum infectum fieri non potest, neque Deus).

Non si può, oltre che soffrire per il torto, chiedere alla vittima uno sforzo psichico tale da perdonare il colpevole.

Ma come si esce da questa nostalgia senza vendetta nè perdono?

Si esce (ex-it) distaccandosi dal passato e senza che questo pregiudichi il nostro futuro, diventando così il cancro della nostra vita.

Si pensi a Giuda e Pietro che tradirono Gesù, con la differenza che Giuda non riusciva a dare un taglio netto al passato, il quale ha contaminato la sua vita al punto tale da spingerlo ad impiccarsi.

Pietro,invece, non ha concesso al suo passato di pregiudicare la propria vita e così facendo divento il primo Papa.

In amore capita di essere traditi, ma l’amore è una storia che si vive in due, dove entrambe le persone hanno vissuto nel mondo di Eros, e la possibilità di essere traditi deve essere messa in conto nel giorno stesso in cui inizia la storia d’amore.

L’amore appartiene al tradimento come il giorno alla notte, infatti solo gli amanti possono tradirsi ed ignorare questa logica è infantile.

A volte ci si dispera per il fatto di essere stati traditi, ma non teniamo conto di una cosa tanto vera quanto importante, ossia che si può credere di tradire la propria terra, i propri amici, il proprio amore, ma l’unica cosa che può tradire una persona è solamente se stessa.

Domenico Fauceglia Episteme laboratorio dei saperi © 2010 epistemelaboratorio.blogspot.com

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